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pregnant Avere un figlio è sicuramente una risorsa, sia dal punto di vista umano che sociale ma, per una donna che lavora o che sta cercando un lavoro, può trasformarsi in un handicap.
L' Italia non è ancora un Paese per mamme. Purtroppo, continuano a dominare le vessazioni, le ordinarie ingiustizie, le discriminazioni subdole e banali ma non per questo meno tremende, che hanno come bersaglio le lavoratrici madri, considerate dalle aziende “meno produttive”.
 Ogni giorno vi sono donne vittime di mobbing al rientro dalla maternità o addirittura a gravidanza ancora in corso.


Nelle aziende pubbliche e private, si continua a demansionare, isolare e provare psicologicamente le lavoratrici fino a provocarne in caso estremo le dimissioni. Hanno un ruolo decisivo i colleghi e l'accanimento di alcune donne manager che, secondo le associazioni specializzate, spesso sono le peggiori.
La situazione tipica è quella in cui la lavoratrice comincia a esser messa da parte fino a perdere la professionalità acquisita e finendo col fare lavori sempre più marginali, le si affidano lavori di scarsa professionalità e generici, dalle fotocopie alla tenuta dell'archivio.
Contemporaneamente, la si invita a dimettersi, magari offrendole dei soldi, proposta che diventa sempre più minacciosa se ella non accetta, sino al verificarsi di vere e proprie azioni di mobbing da parte dei superiori, a cui, spesso, si aggiunge il contributo velenoso di qualche collega, desideroso di compiacere la direzione o animato da invidia, gelosia, carrierismo o spirito di convenienza.
E neppure una legge severa come la 151/2001 riesce ad arginare abusi e ingiustizie di genere. 
La maternità continua a rimanere per le donne italiane un ostacolo al lavoro e alla carriera.
Per le aziende, la donna che diventa madre viene vista quasi sempre sistematicamente come un problema.
 Un problema che però le aziende tendono a risolvere senza mai sporcarsi troppo le mani. Perché anche il mobbing ha le sue regole. E così non sarà mai il datore di lavoro a prendere l’iniziativa e a licenziare. La legge, infatti, è dalla parte della donna: non si può mandare via una dipendente incinta o appena rientrata dalla maternità. Quindi sarà l’azienda – se l’obiettivo finale è quello – ad aspettare che sia la lavoratrice stessa, psicologicamente provata, a chiedere il trasferimento o le dimissioni.
L’Agenzia europea per la salute e la sicurezza sul lavoro, con il termine ‘disagio lavorativo’ identifica la sofferenza che ha origine da una serie di tematiche che vanno da stress dovuto a disorganizzazioni lavorative al mobbing causato da ripetute molestie morali, al burnout provocato dalla delusione professionale fino alle molestie sessuali, ai casi di umiliazione e prepotenza e alle violazioni contrattuali.
Tra le conseguenze del disagio lavorativo ci sono sia danni psicofisici che relazionali, con gravi ripercussioni sulle persone che vivono con la lavoratrice.
Modelli poco flessibili sul lavoro o compagni poco presenti nel contesto familiare trasformano la gravidanza in un serio problema.
Per migliorare la situazione è indispensabile una buona informazione sulla genitorialità e quel che comporta in un'azienda.
La donna deve poter esporre il proprio disagio e chiedere sostegno legale e psicologico.
Lo Studioarmonia del Dott. Aldo Marinacci, esperto Psicologo di tematiche correlate allo stress da lavoro correlato e al mobbing, che si manifestano in contesti lavorativi di tipo privato e pubblico sarà in grado di accompagnarvi nel riconoscimento di questo disagio, e vi aiuterà a mettere in campo le risorse per contrastare questo problema sociale e ridurre le ripercussioni psicologiche su voi stessi, sui vostri figli e le vostre famiglie.

Dott. Aldo Marinacci

Psicologo Sessuologo

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